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Togliere le ricchezze alla criminalità organizzata, accumulate illecitamente, e restituirle alla collettività. Un tema, quello dei beni confiscati alle mafie, che sta diventando di estrema attualità anche a Verona, dove la ‘ndrangheta è radicata da tempo, ingolosita da una città tra le più importanti in Italia sotto il profilo economico e turistico. Quattro sono attualmente gli immobili acquisiti dal Comune di Verona, che potrebbero trasformarsi in opportunità di accoglienza o di riuso sociale, gestiti da associazioni o cooperative. Ma servono risorse economiche e personale qualificato per renderle fruibili.
Di questo si è parlato oggi al convegno “Valorizzazione dei beni confiscati: prospettive sociali ed economiche”, promosso alla biblioteca civica da Cia Verona ed Emmaus, che hanno sottolineato come recuperare i beni illegali sia importante sia per l’agricoltura, sia per il sociale.
“L’agricoltura è un settore molto esposto per quanto riguarda la criminalità organizzata – ha premesso Cristiano Fini, presidente nazionale di Cia – Agricoltori Italiani -. I terreni sono spesso esposti a fenomeni di questo genere, perché sono beni rifugio e perché imprenditori agricoli in difficoltà cadono in tentazione di cederli a organizzazioni criminali. Noi lavoriamo per diffondere la cultura della legalità e per restituire le terre confiscate a giovani agricoltori o ad attività biologiche, in collaborazione con Libera. Si può partire dall’agricoltura per proporre un modello alternativo alla logica mafiosa”. Massimo Resta, presidente di Emmaus Italia, ha spiegato come la sua associazione stia lavorando da tempo su questo: “Noi usufruiamo di parecchi beni confiscati, ma in futuro sarà importante lavorare a stretto contatto con le istituzioni per accelerare i percorsi di recupero e restituire alla collettività case e spazi”.
Colpire la criminalità organizzata nelle proprietà e nei depositi di denaro è fondamentale non solo come risarcimento materiale alla collettività, ma come parte integrante della lotta alla mafia. E questo vale anche per Verona, come ha sottolineato il prefetto Demetrio Martino: “È una città che, apparentemente, non ha i tratti istintivi della presenza di criminalità organizzata – ha detto -. In verità la ’ndrangheta è presente da almeno quarant’anni, non con il pizzo, ma insediandosi nel circuito economico legale, dove acquisisce spazi e potere e ripulisce denaro sporco. Dobbiamo tenere alta l’attenzione e colpire la criminalità organizzata al cuore, cioè nelle proprie economie”.
Antonio Balsamo, sostituto procuratore della Corte di Cassazione, ha spiegato che “il core business della criminalità organizzata a Verona sono gli stupefacenti e la fatturazione di operazioni inesistenti. Due facce della stessa medaglia, che mettono a rischio l’imprenditoria sana e onesta della città. La lotta alla mafia con beni confiscati innesca un circuito virtuoso, perché convince la gente della necessità di un impegno contro il fenomeno criminale. E in questo percorso una città importante come Verona può diventare il simbolo del riscatto”.
“Il territorio di Verona è fortemente infiltrato, come hanno accertato le recenti sentenze – ha confermato Stefania Zivelonghi, assessora alla Sicurezza del Comune di Verona -. Ma è un territorio che non ha le strutture adeguate per affrontare la situazione attuale. Roma, forse, non ha la consapevolezza delle problematiche che sta vivendo la nostra città. Questo ci ha portato anche a firmare una richiesta di rinforzi, che in parte stanno arrivando. Ma necessitiamo di attenzione perché la nostra posizione strategica attrae il crimine e ci rende vulnerabili”.
In merito ai beni confiscati, Zivelonghi ha spiegato che il Comune si è costituito per la prima volta parte civile in un processo per mafia, passaggio chiave anche per l’acquisizione di immobili in mano alle mafie. Il più recente, un appartamento in periferia, deriva da denaro accumulato attraverso l’usura. “Speriamo che altri ne arrivino – ha aggiunto -, ma dovremo pensare ad una struttura all’interno del Comune dedicata specificatamente alla gestione del recupero. Per quanto riguarda i fondi l’ideale sarebbe un partenariato, coinvolgendo il terzo settore”.
Sulla difficoltà di recuperare i beni confiscati alla criminalità organizzata ha ragionato anche Pierpaolo Romani, responsabile nazionale di Avviso Pubblico, associazione che riunisce gli amministratori pubblici impegnati a promuovere la cultura della legalità. “La maggior parte dei beni è localizzata in Comuni medio piccoli – ha detto -. Nel Veronese, ad esempio, ci sono progetti a Erbé e Bussolengo. Quello che manca sono risorse e personale qualificato. Dobbiamo garantire che i progetti siano sostenibili e praticabili, e convincere gli amministratori locali che i beni confiscati, spesso mal tenuti o distrutti, non sono un problema, ma una risorsa: possono diventare riparo per donne vittime di violenza, per persone senza casa, oppure archivi o sedi culturali”.
Sotto il profilo strettamente giuridico Alberto Scaramuzza, presidente aggiunto Gip di Venezia, ha illustrato le leggi che si sono succedute per arrivare alla confisca dei beni, specialmente dopo le stragi del 1992. “La difficoltà più grande è quella di entrare nella zona grigia, cioè dove operano imprese estranee al corpo della criminalità organizzata, ma che ne diventano succubi. Lì non è facile confiscare beni illegali, ma dal codice antimafia del 2011, che per la prima volta ha istituito il controllo sui beni, alla riforma del 2017, che ha sancito l’amministrazione giudiziaria dei beni, compreso il denaro da ripulire, si sono fatti parecchi passi in avanti”.
In chiusura del convegno, moderato dall’amministratore giudiziario Rosario di Legami e aperto dal regista e attore teatrale Mario Palmieri, con un ricordo di Paolo Borsellino e Rita Atria, parola a Maria Rosaria Laganà, prefetto e direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che ha iniziato la sua carriera prefettizia a Verona come capo di Gabinetto. “L’Agenzia gestisce decine di migliaia di beni in via transitoria che non sono nelle condizioni di essere utilizzati. È necessario, dunque, un iter lungo che richiede una stretta sinergia con la fase giudiziaria, per evitare che questi beni restino a lungo inutilizzati. A questo scopo abbiamo istituito una piattaforma dove viene inserito il bene confiscato, con oltre 500 soggetti accreditati del Terzo Settore, che ricevono un alert e hanno l’opportunità di visionare il bene e progettarne il recupero. Ci sono tantissimi terreni che potrebbero essere dati a cooperative, in grado non solo di valorizzarli ma anche di resistere alle pressioni mafiose, che tornano alla carica per riottenerne il controllo”.