Soia sempre più in affanno in Veneto, gli agricoltori seminano mais

Soia sempre più in affanno in Veneto, regione dove si concentra la massima produzione in Italia della leguminosa, utilizzata sia per l’alimentazione animale che per quella umana. La sindrome dello stelo verde, conseguenza dei cambiamenti climatici, e la carenza di semi stanno causando la perdita di interesse degli agricoltori, che quest’anno sono più orientati a seminare mais.

“Negli ultimi anni si è accentuato il mal verde, come è chiamato in gergo dai produttori – spiega Paolo Baretta, presidente della sezione proteoleaginose di Confagricoltura Veneto, coltivatore di mais e soia tra Codevigo (Padova) e Chioggia -. La siccità fa sì che le piante mantengano le foglie verdi per difendersi dallo stress climatico, impedendo la formazione del baccello. L’anno scorso siamo arrivati a perdite fino al 40%. Abbiamo constatato che con la seconda semina, che avviene in giugno, dopo la trebbiatura del frumento e della colza, si corrono meno rischi. Quindi la tendenza sarà sempre più quella di posticipare la coltivazione, in attesa che l’innovazione ci dia una mano con sementi più resistenti, come già avviene in Sudamerica”.

In Veneto la superficie coltivata a soia è in calo del 10 per cento ogni anno e si attesta intorno a 120.000 ettari (dati 2023 Veneto Agricoltura), con capofila Padova, Venezia e Rovigo, che insieme concentrano circa il 70% di superfici regionali. I prezzi sono in ribasso, con il grande punto interrogativo sulla guerra dei dazi, che potrebbe portare la Cina – che la utilizza molto anche per l’alimentazione umana – a comprare la soia in Europa anziché dagli Stati Uniti.

Non è un buon momento neppure per le altre proteoleaginose: “La colza aveva preso piede, ma tra primavere piovose e repentini sbalzi di temperatura è sempre un terno al lotto – dice Baretta -. Idem per il pisello proteico. Il girasole, invece, potrebbe essere un’opportunità, ma in Veneto abbiamo perso una struttura di trasformazione e perciò siamo in difficoltà”.

Il risultato è che molti agricoltori si stanno buttando sul mais. “Nel Basso Padovano, nel Veneziano e in Polesine si sta già seminando, anche perché c’è un incremento di richiesta sia di trinciato, destinato alla produzione di energia per biogas, sia di granella per l’alimentazione dei bovini. Anche il mais bianco, ad uso alimentare per la farina da polenta, l’olio e la pasta, ha un buon mercato. Chiaramente ha bisogno di terreni irrigui, perché soffre molto la siccità”.

Il Veneto è il primo produttore di mais in Italia, anche se negli ultimi vent’anni ha perso il 50% della superficie, in linea con altre regioni top della coltura come Lombardia e Piemonte. “Tra siccità ed eventi estremi il calo di produttività negli ultimi anni è stato pesante – ricorda la polesana Chiara Dossi, presidente del settore Cereali alimentari di Confagricoltura Veneto -. “Però è un prodotto richiesto dal mercato e ci stanno proponendo contratti interessanti soprattutto per il mais bianco destinato all’alimentazione. Sulle previsioni, comunque, siamo sempre più cauti: tra eventi meteo estremi e scombussolamenti di geopolitica per i seminativi sono anni difficili. L’unica cosa da fare è differenziare il più possibile ed essere sempre vigili sull’andamento del mercato”.

La superficie investita in mais in Veneto nella scorsa stagione è stata di oltre 120.000 ettari, con Venezia, Padova, Rovigo e Verona che si dividono complessivamente il 70 per cento della superficie. Il resto viene coltivato tra Treviso, Vicenza e Belluno.

Scritto da: Laura Lorenzini